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Dal capitolo sulla trascrizione della koiné - (3.3.)
Come si legge (e si scrive) il piemontese

secondo l'ortografia ufficiale ratificata dalla Regione Piemonte

 

Rimaneggiando il materiale dal quale traggo questo articolo, presento una guida pratica e sintetica su «come si legge» il piemontese. Su testo in pdf invece si può trovare il testo completo del capitolo citato, con la pronuncia indicata anche in simboli I.P.A., che inizia con il chiarire «come si scrive». Allego anche il testo sull'adattamento per testi canavesani.

 

Ortografia piemontese per la lettura

Essa è detta “Pacotto-Viglongo” o dei “Brandé” ed è stata adottata dalla Regione Piemonte come ufficiale. Ecco le regole principali. Nella tavola che segue viene elencata la corrispondenza fra la grafia ufficiale e il suono.

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Nota. Il valore della maggior parte dei segni è identico a quello dell’italiano, con le seguenti eccezioni:

e senza accento, si pronuncia di solito aperta in sillaba chiusa (serne) e chiusa in sillaba aperta (pera), ma con eccezioni.
é simile alla e chiusa italiana, ma più aperta (caté, lassé).
è è simile alla e aperta italiana, ma più aperta (cafè, përchè).
ë detta e semimuta, simile alla e francese di le (fërté, viëtta).
eu equivale al francese eu (cheuse, reusa).
o è simile alla u italiana (conté, mon).
ò simile alla o aperta italiana, è sempre tonica (còla, fòrt).
u equivale al francese u o al tedesco ü (pur, muraja).
ua dopo la q (e in pochi casi isolati) vale la ua dell’italiano
quando (quand, qual).
ùa si pronuncia bisillabo: üa (crùa, lesùa).
j è simile alla i semiconsonantica dell’italiano ieri (braje, cavèj); nella grafia piemontese, comunque, la j ha talora anche un valore etimologico e si trova di solito in corrispondenza di un gl italiano (es. fija = it. figlia).
n- n velare o faucale, senza un corrispondente preciso in italiano, ma è simile alla n di fango (lun-a, sman-a).
s in principio di parola o post-consonantica suona s sorda (supa, batse), tra due vocali e alla fine di parola è sempre sonora (lese, vos).
ss

si usa tra due vocali e alla fine di parola per indicare la s sorda (lassé, poss).

s-c esprime il suono distinto di s e c (s-cet, s-cianché).
z si usa solo in principio di parola o post-consonantica per indicare la s sonora (zanziva, monze).
v alla fine di parola si pronuncia in modo simile alla u italiana di paura (ativ, luv), e così avviene anche al l’interno di una parola quando essa non corrisponda a una v italiana (gavte), ma suona semiconsonantica fra vocali (luva); negli altri casi ha il suono della v italiana (lavé, savèj).

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Accentazione. Si segna l’accento tonico sulle sillabe sdrucciole (róndola, màndola), sulle tronche che escono in vocale (parlé, pagà, cafè), sulle piane che escono in consonante (quàder, nùmer), sul dittongo ei se la e è aperta (piemontèis, mèis), sul gruppo ua quando la u vale [y] (batùa), e sui gruppi di i più vocale alla fine di parola (finìa, podrìo, ferìe). L’accento si può segnare, a discrezione dello scrivente, sulle e ed o per rimarcarne la pronuncia aperta o chiusa (tèra, amèra, bochèt, lét). L’accento è utile anche per riconoscere coppie di omografi (sà = verbo “egli sa”, sa “questa”; là = avverbio, la= articolo femm. sing.).
Trattino d’unione. Viene usato per unire due elementi lessicali complementari: con avverbi di luogo e per evidenziare un pronome clitico, la particella pronominale ne o la particella locativa i. Esempi: chiel-lì, cost-si, cola tòta-là; còsa it fas-to?, cheuj-jë-je (raccoglierglieli), it i-j parle, s-cianchët-ne, it i-i ven-e dcò ti.


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(da Camillo Brero)

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