Dalla parte 1. :
Una definizione di Canavese
1.1. Etimo e altri aspetti storici
1.1.1. L’etimo. Da Giovanni Bertotti e da Giuseppe Berta del Centro Ricerche e Studi dell’Alto Canavese (CORSAC) di Cuorgné attingiamo le notizie che riguardano l’origine del nome, del suo uso e una sintesi delle fasi storiche che determinarono una certa unità culturale della nostra zona, nonché l’evoluzione storica dei confini, sempre incerti, della medesima.
L’ipotesi attualmente più accreditata sull’etimologia si fa risalire a Canaba, centro ovvero distretto politico e commerciale di origini preromane, citata in un documento del 901. Il toponimo pare originarsi da una parola latina medievale identica, canaba, indicante un luogo di raccolta di prodotti agricoli. Secondo alcuni studiosi doveva trovarsi alla confluenza del torrente Gallenca nell’Orco, nei pressi della frazione Rivarotta di Valperga; secondo altri, corrisponderebbe alla frazione Campore di Cuorgné e secondo altri ancora a San Ponso. Questa città sarebbe scomparsa in seguito ad una guerra o ad una piena dell’Orco. Le attestazioni più antiche del toponimo Canaba riportano, fino al 1200, regolarmente la radice Canav- (con tipica incertezza fra le labiali b e v) e solo successivamente compare la radice Canap-. Questo escluderebbe l’etimologia attribuita alla coltura della canapa. In epoca successiva, nello stemma dei Valperga, che dal secolo XII dominò nella zona citata, venne inserito un ramo di canapa, ma può essere appunto dovuto ad un etimo errato fin da quel tempo.
Altri eruditi studi, basati su toponimi locali, attribuiscono alla parola origini preromane con il significato di «presso i monti» mentre per altri ancora la terminazione -aba o -ava viene messo in relazione con la parola locale ava (< aiva < l aqua) con significato di «presso l’acqua».1.1.2. Una sintesi storica. La Curtem Canavam è documentata nei secoli X e XI e appare quindi certo che il suo nome stia all’origine dell’uso stabile del coronimo Canavese. In un atto di Berengario II d’Ivrea del 951 si parla di «Curtem Canavese cum castro quod dicitur Riparupta cum omni sua pertinentia». Le fortificazioni di Rivarotta si trovavano perciò entro la «corte» del sistema economico, in particolare agrario, longobardo. Rivarotta appare come un centro importante sin dal periodo romano, poiché fino a tempi recenti erano visibili tracce di un guado sul fiume Orco. Esso offriva comunicazione fra gli importanti centri di Eporedia e Augusta Taurinorum attraverso una strada, pure di origini romane, che univa anche la Val di Susa e la Val d’Aosta. Di qui passava un tratto della Via Francigena, che volgeva verso i passi del Moncenisio e del Monginevro. Il guado perse importanza con la costruzione del ponte di Cuorgné. La Curtis Canava scompare dai documenti nel 1054.
I «de Canavise». Poco dopo quella data, alcuni nobili stranieri sono investiti dall’imperatore e procedono ad una lenta penetrazione nella zona, che comprende la distruzione di documenti e perciò di notizie relative al precedente periodo. Questo prelude ad una loro falsificazione storica per pretendere diritti a governare quali discendenti da Arduino d’Ivrea. Vediamo che nel 1070 acquistano terre a Masino e dintorni e si allargano al territorio dell’antica Canava arrogandosi il titolo di Conti de Canavise. Nel 1110 l’imperatore Enrico V riconosce loro il titolo di «Comites de Canavisio». Estendono ancora i loro domini, mentre dai De Canavise si stacca la casata dei San Martino, dai quali deriverà il ramo dei Castellamonte. Nel 1193 abbandonano il titolo De Canavise per suddividersi in due rami: Valperga e Masino.
Ivrea nel XII secolo si sta costituendo a Comune, che per lungo sarà oggetto dei conflitti, tipicamente medievali, fra potere imperiale e religioso. Federico Barbarossa appoggia il suo federe Ranieri di Biandrate, di origini arduiniche, che entra in conflitto con il vescovo e il Comune, fino ad esserne cacciato, nel 1195 (episodio al quale risale la parte più antica delle tradizioni del carnevale eporediese). Il Comune entra in conflitto con Vercelli e coalizza le forze del Canavese. In uno dei giuramenti, del 1213, i conti del Canavese (Comites Canapicii) promettono obbedienza a Yporegia quali cittadini in perpetuo. Il vescovo farà pace separata con la rivale e la città in reazione diventa ghibellina.Il territorio d’Ivrea si fonde con quello del Canavese nel 1229, quando viene rinnovata l’alleanza fra il Podestà di Ivrea e i signori canavesani. La confederazione si amplia ma i confini restano sempre variabili. L’unione dura per tutto il secolo XIII fino al primo quarto del XIV, quando scoppiano le lotte fra i Valperga, alleati dei Biandrate e dei Masino, e i San Martino, alleati dei Castellamonte. I primi chiedono l’intervento dei Savoia e gli altri dei Savoia, pagando l’aiuto con la loro sottomissione. Finisce così il Canavese «storico».
1.2. Aspetti geografici
Il termine Canavese era fino a qualche tempo fa usato come aggettivo e come aggettivo sostantivato, come ad esempio torinese significa «di Torino» e il torinese significa vagamente «la zona di più diretta influenza torinese». Mi sembra che da tempo ormai il coronimo Canavese venga usato unicamente come sostantivo e che l’aggettivo relativo sia canavesano e non più canavese. Come il suo etimo è incerto, è incerto anche quanto esso stia ad indicare geograficamente.
1.2.1. I confini del Canavese in varie epoche
Sintetizziamo alcune descrizioni storiche e autorevoli sui confini del Canavese, sempre attingendo dalle note compilate da Giovanni Bertotti e Giuseppe Berta per il CORSAC.
Il Canavese «storico» (secolo XIII) secondo Giuseppe Frola (1918), che lo limita «alle terre soggette direttamente o indirettamente ai conti del Canavese, ai visconti d’Ivrea, nonché al vescovo e al comune di Ivrea ed all’abbazia di Fruttuaria» i confini si possono tracciare come segue. «A est: i monti che formano lo spartiacque fra il bacino della Dora Baltea e quello dell’Elvo; la Serra, escludendo Borgo d’Ale, Viverone, Villareggia e includendo Roppolo, Vische e Maglione, dopo il quale il limite è dato dalla Dora Baltea fino al suo incontro col Po. A sud avremo il Po fino a Brandizzo, escluso. A sudovest, ultima terra canavesana è Volpiano; Leynì, Caselle e Ciriè si escludono; terre terminali dopo Volpiano sono Lombardore, Rivarossa, Front, Balangero. Dopo il quale le cime dei monti circoscrivono il Canavese, con la piccola catena che principia dal monte Rolei finisce alla punta dell’Angiolino, separando Corio e Rocca da Coassolo. Indi, lo spartiacque tra l’Orco e la Stura di Valle Grande fino alla Levanna, poi le Alpi Graie. Infine, il lungo contraf-forte che, partendo dal Gran Paradiso, a poco a poco digradando va a morire sopra Quincinetto, separerà le valli dell’Orco, del Soana e della Chiusella da quelle della d’Aosta.»
Secondo Pietro Azario (1363), nel suo De Bello Canapiciano, il Canavese è «un contado appartenente a diversi conti, situato nella parte occidentale della Lombardia» (quella dell’epoca, che era il domino germanico dei longobardi) e comprendente anche il contado di Masino». Indi specifica che «confina ad oriente col distretto di Vercelli, a mezzogiorno con le terre del Monferrato sopra il Po, ad occidente, in parte, con le terre del Piemonte e in parte coi domini dell’illustre principe Conte di Savoia, e a settentrione colle Alpi ed altre terre del conte, con la città di Ivrea e la Valle d’Aosta, attualmente appartenenti al suddetto Conte di Savoia.»
Secondo Antonino Bertolotti (1872) «comprende tutto il circondario d’Ivrea e buona parte di quello di Torino» e specifica quanto segue. «Al nord confina con le gole della Valle d’Aosta e le Alpi Graie, che lo circondano a nordovest; la collina della Serra lo separa a nordest dal Biellese, altri colli e poi la Dora Baltea all’est e al sudest lo dividono dal Vercellese. Un poco incerti sono i confini verso l’ovest ed il sudovest, essendo variati secondo i tempi; ma si può ritenere un estremo limite il Po, tirando poi una linea tra la Stura e la Dora Riparia, che comprenda tutta la Vale di Lanzo.»
I confini moderni secondo Mario Bertotti (1973) «i confini geografici del Canavese si possono segnare con una certa chiarezza, con l’eccezione della bassa Valle di Lanzo, dove si è fatta sentire l’influenza di Torino. Partendo dalla colma del Mombarone, il Canavese è delimitato dalla linea che passa fra Carema e Quincinetto (ancora canavesani) e Pont St Martin, e segue le sommità che separano la Valle Soana dalla Valle d’Aosta.» Il confine a ovest è ovviamente quello con la Francia, indi «dopo aver seguito la sommità della catena che divide la Valle dell’Orco da quella di Cantoira, poco dopo la punta dell’Angiolino presso Locana scende ad angolo retto a tagliare la bassa Valle della Stura sotto Lanzo. Si devono considerare canavesane le zone di Corio, Cirè, Grosso e Mathi da un lato del torrente, Cafasse e Robassomanero dall’altro. Caselle e Borgaro, che una volta si dicevano canavesani, ora sono ufficialmente ‘torinesi’ ed ornai aggregati alla ‘cintura’ della grande città. Da Caselle la linea del confine del Canavese tocca Leinì e raggiunge il Po presso Chivasso e lo segue sino alla foce della Dora Baltea, risalendo poi verso nord. Di là dal torrente vi sono ancora canavesani Borgomasino, Masino, Cossano e Azeglio, come la sponda occidentale del lago di Viverone. Da questo punto il confine risale alla sommità della Serra e ne segue il crinale fino alla colma del Mombarone.
Il Patto Territoriale del Canavese (1997) è stato promosso dalla città di Ivrea con l’obiettivo è rappresentato dal «binomio comunica-zione-innovazione». Hanno aderito 122 Comuni, 5 Comunità Montane, la Provincia di Torino, la Regione Piemonte e 58 organizza-zioni di vario genere (vedere i comuni aderenti nella tabella 1.2.1.).1.2.2. I confini convenzionali considerati per questo saggio vogliono essere linguistici, naturalmente, e sono scelti a priori con un criterio prudentemente inclusivo piuttosto che esclusivo, per verificare fino a che punto si spinga la «canavesanità» dialettale nei vari territori. Sono inclusi anche i comuni di parlata francoprovenzale che fanno parte del Canavese, i cui idiomi saranno trattati ciascuno individualmente.
L’elenco dei comuni appare nella tabella 1.3.1. [non riportata qui: si veda il solo elenco dei nomi], tuttavia fornisco una descrizione letterale del Canavese. Il quale appare approssimativamente come un triangolo rettangolo con l’angolo retto coincidente col Mombarone. Un cateto, un poco maggiore dell'altro, corre verso occidente lungo il confine con la Valle d’Aosta; l’altro scende verso mezzogiorno lungo i confini delle provincie di Biella, Vercelli e, in piccola parte, di Alessandria, al di là del Po. L’ipotenusa ha confini più incerti (come s’è visto anche nelle descrizioni degli autori storici) e i nostri limiti convenzionali sono: un tratto di confine con la Francia (valle dell’Orco); il crinale fra valle dell’Orco e Valgrande fino alla Cima dell’Angiolino; di qui si include la valle che si apre ai suoi piedi verso mezzogiorno fino ad incontrare Coassolo, Lanzo e altri comuni al di qua della Stura di Lanzo, fino ad escludere il Torinese con Caselle, Borgaro, Settimo e Gassino; di qui in poi rimane un piccolo territorio oltre il Po che riteniamo Canavese, per considerazioni storiche e per il fatto che questi comuni abbiano aderito quasi tutti al Patto del 1997. Complessivamente, i comuni considerati in questo saggio sono 145. Si usano le denominazioni aggiornate all’epoca in cui scriviamo (dove, fra l’altro, sparisce la parola «Canavese» da molti comuni) e non si considerano gli accorpamenti in atto.
Statistiche. Se tracciamo l’altezza di questo vago, ipotetico triangolo rettangolo, o per meglio dire una linea che va da Quincinetto a Mati (olim Mathi), vediamo che essa divide la parte montagnosa-collinare del Canavese, verso nordovest, da quella collinare-pianeggiante, verso sudest. Questo triangolo ha i «cateti» di circa 65-70 km ciascuno e di conseguenza un centinaio di chilometri di «ipotenusa». La superficie del territorio considerato è di 2252,7 kmq, circa un 134mo dell’Italia. La parte collinare (200-600 m di altitudine) è quella preponderante, costituisce il 53% del territorio e vi risiede l’81% della popolazione (Italia: 42% e 39% rispettivamente); la parte montagnosa è del 38% con il 4% degli abitanti (Italia: 35% e 13%); la parte di pianura occupa il 9% con 15% dei canavesani (Italia: 23% e 48%). La popolazione totale è di circa 343 mila abitanti, un 177° dell’Italia, un poco meno degli abitanti di Firenze, o quelli di un quartiere di una moderna megalopoli. La densità di popolazione è di circa 153 abitanti per chilometro quadrato, tre quarti del valore medio italiano. Mentre la popolazione dell’Italia nel corso dei suoi 150 anni di unità è aumentata del 168% circa, quella canavesana è aumentata soltanto del 17%. Questo significa, in termini relativi e nazionali, che la sua popolazione si è più che dimezzata (dovrebbe essere sui 763 mila abitanti se fosse stata al passo con quella nazionale). In tempi recenti il divario fra le due crescite demografiche è aumentato. Solo durante la seconda metà del secolo scorso l’incremento fu maggiore di quello nazionale (29% contro il 21%). In linea di massima, in tempi recenti le zone montane del Canavese si sono spopolate e si sono (relativamente) ripopolate quelle nella cintura di Torino. È evidente che il Canavese ebbe il suo felice momento durante la ripresa economica del secondo dopoguerra e che i suoi effetti sono andati soggetti a regresso già da qualche tempo. Prima di esso, molti canavesani emigravano perlopiù negli gli Stati Uniti. Dopo di esso, la nostra economia ha cercato di terziarizzarsi ulteriormente, ma finora senza sostanziali risultati.
Figura 1.2.2. Il Canavese così com’è considerato in questo saggio